Tra gli antichi regni della Birmania

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Marianna

Un viaggio suggestivo nella grande tradizione culturale e spirituale di questo bellissimo paese!

MINGALABA!

Un volo Thai da Malpensa con scalo a Bangkok mi ha portato verso la prima tappa del mio tanto atteso e desiderato viaggio in Birmania: Yangon.

La vecchia capitale si è presentata come la tipica grande città asiatica di cui avevo tanto sentito parlare: caotica, piena di vita e a tratti piuttosto rumorosa. Diversissima invece l’atmosfera pacifica che si respira alla Swedagon Pagoda, uno dei più grandi templi del paese, in cui si dice siano custoditi otto capelli dello storico Buddha Gautama.

Il mio primo impatto con il culto buddhista è stato proprio questo maestoso complesso religioso, dove – oltre allo stupa centrale alto 98 metri – si trovano innumerevoli templi e santuari. La lunga fila di pellegrini che qui si recano a rendere omaggio alle reliquie del Buddha si mescola alle tante famiglie e ai locali che vivono questo luogo mistico come punto di incontro per dialogare, fare un pic nic, passare del tempo insieme.

Mi rendo subito conto di quanto la vita quotidiana dei birmani sia scandita dai ritmi della fede, una spiritualità che posso solo osservare con rispetto e silenzio.

Il giorno seguente lasciamo Yangon e con un volo interno arriviamo a Bagan; il mio bagaglio è carico di aspettative.

Prima ancora di visitare Bagan, mi ero riempita gli occhi di fotografie e avevo letto il più possibile sulla storia millenaria della capitale del primo regno birmano, sullo stravagante ‘boom’ edilizio intercorso qui tra il 1050 e il 1280 a.C., quando gli imperatori edificarono migliaia di templi, pagode e monasteri.
Nelle calde pianure che costeggiano il fiume Irrawaddy sorgono oggi circa 2000 templi, che si perdono in ogni direzione su un’area di oltre 70 km quadrati. Tra le visite più suggestive, quella del tempio di Ananda, di architettura indiana, la pagoda Shwezigon, dove si pensa sia custodito un dente del Buddha, il tempio di Dhammayangyi, con la sua “toccante” storia.

Nonostante sia a corto di ore di sonno, la mattina successiva decido di svegliarmi presto per assistere allo spettacolo indimenticabile del sorgere del sole. I giochi di luce creati dalla transizione tra il giorno e la notte, la vasta distesa di templi che si perdono in lontananza, le mongolfiere colorate che danzano in cielo… Avverto una pace indescrivibile, un intimo contatto con la cultura millenaria della Birmania.

La terza tappa del tour ci porta a Mandalay, città vivace e polverosa, dal paesaggio collinare.
Con un battello raggiungiamo Mingun, piccolo villaggio che ospita la Pagoda Mingun, che sarebbe dovuta diventare la Pagoda più grande del mondo e che, invece, è rimasta incompiuta a causa di un terremoto.

La visita alla meravigliosa Pagoda di Hsinbyume, il cui aspetto simboleggia Sumeru – la montagna al centro del mondo nella cosmologia buddhista –  con il suo colore candidamente bianco, mi è rimasta nel cuore.

Tornando verso Mandaly, raggiungiamo Amarapura: qui visitiamo timidamente il monastero di Mahagandayon, nel quale vivono tantissimi monaci che permettono ai turisti di assistere ai riti quotidiani.
La giornata si conclude con il tramonto indimenticabile sul ponte U bein, il più lungo ponte di legno teak del mondo, affacciato sul lago Tantaran.

Il mattino seguente, con un volo interno per Heho, ci prepariamo ad un’altra meta famosa per i suoi scenari naturali: il Lago Inle, con i suoi villaggi di palafitte ed i giardini galleggianti. Anche in questo caso, le mie aspettative non sono state disattese. Qui vive il popolo degli Intha, i pescatori locali utilizzano ancora le tradizionali reti coniche, spingendo le proprie barche usando una tecnica particolare, in equilibrio su una gamba sola.

Attraversare la distesa placida del Lago Inle, circondato da montagne, con l’orizzonte che si dipana davanti al nostro sguardo, mi trasmette un forte senso di tranquillità.

Il mio viaggio si chiude con un’ultima mattinata di visita del quartiere coloniale di Yangon. Qui mi ha colpito molto la grande libertà religiosa che si respira lungo le vie della città, vedere come usanze e tradizioni eterogenee convivano con rispetto reciproco: musei buddisti mescolati ad edifici di impronta occidentale e a grandi cattedrali cristiane.

Da Yangon sarebbe poi partito il mio volo verso Bangkok, e da lì quello per l’Italia, a segnare la fine di un viaggio in una terra in cui il tempo sembra a tratti scorrere con dinamicità, a tratti essersi fermato completamente.

Ho così salutato il senso di pace, il profondo attaccamento alla fede, i volti cordiali cosparsi di Thanaka di donne e bambini, i sorrisi gentili e macchiati di betel degli uomini, i visi enigmatici e disponibili dei monaci.

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